Ritorno
6 anni fa
Il giovedì, perloppiù sgombro di lezioni e di scocciature scolastiche di vario genere per noi studenti del terzo anno, è il giorno dell'avirone. Ci si reca al fiume per le 12.30, orario balzano ma scelto per permettere anche a chi è al primo o al secondo anno di essere presente sfruttando la pausa pranzo, e si comincia subito con la parte più faticosa: dopo essersi scannati per ottenere una barca dalla rimessa, è infatti necessario carreggiarla, insieme con i remi, fino al cigolante e affollato moletto, stando attenti a non sbattere in acqua qualcuno urtandolo con un remo, come nella migliore tradizione Stanlio&Olliana. Dopodiché si alloggiano i remi e si sale, sempre avendo cura che durante queste operazioni la barca non prenda autonomamente il largo, specie se hai un piede dentro e l'altro ancora sul molo. Fatto tutto questo, rimane giusto il tempo per fare qualche bel giretto alla scoperta del lungofiume, assaporando il piacere di ogni remata, frequentemente interrotto da uno o più dei seguenti incovenienti: il remo si incaglia nel roveto a bordo del fiume, ti accorgi che ti stai andando a schiantare sulla riva e tenti impacciatamente di salvarti, un motoscafo ti costringe a rallentare per lasciarlo passare, qualcuno più spedito di te ti passa troppo vicino e preferisci evitare una spiacevole collisione, ti asporti a più riprese con le unghie la pelle delle nocche nel compiere il gesto della remata, ti schiacci i pollici tra i due remi in circostanze analoghe, piove (toh?!), sbatti il remo contro quello del tuo eventuale compagno (in caso di barche multiple), un remo entra o esce dall'acqua intempestivamente rischiando di farti ribaltare...tutte amenità che si spera con la pratica diverranno più rare. Quando poi finalmente hai preso il ritmo e e inizi a gustare la brezza che ti lambisce a ogni colpo vigoroso, alzi lo sguardo e ti accorgi che il molo è lontanissimo ed è già ora tornarsene a casa.
Porci! Ma come si fa anche solo a immaginare una cosa del genere?? Mi domando se sia più maiale chi le vende o chi le mangia, anche se propendo per il secondo. L'altra sera invito Stephan in camera mia a vedere Thirteen in francese (tanto per allenarsi un po'), e lui si presenta in compagnia di Dominique, la quale mi ammanisce, gentile cadeau, un pacchetto (peraltro già iniziato, vabbè), dello snack in oggetto. Lì per lì, allibito, non me la sono sentita di assaggiarle, e ho anzi addirittura tentato di restituirgliele al termine della serata. Tuttavia, pur avendo già potuto constatare come i gusti anglosassoni siano deviati (la gentile donzella, al cinema, non aveva trovato niente di meglio, da sgranocchiare durante il film, dei pop-corn caramellati, di cui ignoravo persino l'esistenza), qualche giorno dopo non mi sono trattenuto e ho assaggiato le gustose patatine. Allucinanti! Il colpo di grazia è venuto poi dalla lettura della composizione: una trafila di ingredienti provenienti dai più oscuri meandri dei regni vegetale, animale e oltre. Un miscuglio che nemmeno la più fervida immaginazione sembrerebbe poter concepire. Di patate, ovviamente, quasi nessuna traccia. Mon dieu!
La grande Bourse aux Vélos di sabato ha portato un nuovo elemento all'interno della già vasta compagnia. Non ha ancora un nome (si accettano suggerimenti) ma, dopo poco più di ventiquattro ore insieme, ha già una cinquantina di chilometri all'attivo. La biciclettata odierna ha avuto come meta, dopo un fin troppo dettagliato tour, non del tutto voluto, della periferia più o meno residenziale nantese, le Lac de grand Lieu, uno sterminato acquitrino di discreto valore naturalistico oltre che alquanto suggestivo e battuto da un vento forsennato (vedere capigliatura sconvolta nella foto, peraltro sintomatica della necessità urgente di un rendez-vous con un barbiere). L'abitudine di andare a mangiare fuori città alla domenica non essendo diffusa tra gli indigeni, siamo stati costretti a fare letteralmente scalo all'aeroporto per trovare finalmente, sulla via del ritorno, l'unico esercizio commerciale in tutti i dintorni di Nantes che potesse fornirci qualcosa da mangiare. Rifocillatici e visti decollare un paio di aerei, ci siamo infine diretti verso casa, per arrivarvi dopo circa cinque ore e mezza dalla partenza (stanchi ma contenti della bella giornata trascorsa). Il dolore alla schiena, al collo, alle gambe, alle mani e, con rispetto parlando, al culo, sembra tuttavia voler velatamente insinuare che tutto sommato il tram non era poi così scomodo.