venerdì, dicembre 15, 2006

L'Erdre est verte

Avrei dovuto capirlo subito. Quando il tizio che mi ha aiutato a montare in barca, per prima cosa mi ha domandato se avevo dei vestiti di ricambio in caso di necessità, avrei dovuto mettermi l'animo in pace e rassegnarmi all'idea di come sarebbe andata a finire. Ad ogni buon conto, trasportato il mio skiff fino al pontone e salitoci sopra, parto a colpi timidi lungo il corso dell'Erdre, consapevole che il minimo sbilanciamento può costare caro vista l'instabilità dell'imbarcazione. Piano piano, il ritmo diventa più fluido e i colpi più decisi. Dopo un'abbondante mezz'ora cerco già di curare lo stile e di mantenere una buona continuità. Quando ormai mi appresto a fare l'ultima inversione per poi rientrare alla base, distratto da chissà quale pensiero non inerente al canottaggio, come invece la situazione avrebbe richiesto, all'improvviso, non so bene perché, un colpo male assestato, un remo non ben girato che rimane bloccato dall'acqua nella fase di ritorno, poca prontezza nel ricongiungere subito le mani per stabilizzare la barca, e pluf!, senza nemmeno rendermene conto, finisco nel fiume come un vero tonno! Naturalmente mi guardo intorno e non vedo nessuno all'orizzonte, tranne un tizio, partito subito prima di me con un'identica barca, che mi chiede informazioni circa la temperatura dell'acqua (freddina, per la cronaca) e si propone di andare a chiamare qualcuno munito di motoscafo, il che, vista la distanza del molo e le doti tecniche del tizio non superiori alle mie, mi fa capire immediatamente che se non mi arrangio da solo rischio di rimanere a mollo per un bel po'. Risalito in qualche modo pochi secondi dopo essere caduto, fallisco nel tentativo di riprendere in mano la situazione, rifinendo nel fiume poco dopo, con la variante che questa volta lo skiff si è ribaltato completamente. Lottando con i remi che tendono andare da tutte le parti tranne che al loro posto, riesco infine a rigirare parzialmente la barca e a sedermici di traverso, seppur con i remi che restano perpendicolari al piano dell'acqua, effetto Titanic, e ad aspettare in questa posizione, con le gambe a mollo e un simpatico crampo al polpaccio destro, il tizio col motoscafo, che mi rimette in orizzontale e mi dona persino un bicchiere di plastica bucato per svuotare lo spazio per i piedi, già ovviamente fradici e gelati. La giornata tiepida mi permette almeno di rientrare al pontone senza andare in ipotermia, e dopo aver riposto la barca, strizzato bene i vestiti e indossata la tuta che per fortuna avevo lasciato nello spogliatoio, posso rimontare in bici e fare rientro a casa pregustando una bella doccia bollente.

Aaaaaaaaaah, cioccolataaaaaaa...

Mercoledì pomeriggio quei soliti italianofili dei miei compatrioti, si fanno invitare da un gruppo di ragazze, a loro volta in maggioranza italiane, a una serata a base di fonduta alla cioccolata organizzata nella città universitaria adiacente alla nostra, all'ingresso della quale campeggiano incidentalmente inquietanti cartelli che parlano di casi di "gale" (scabbia) manifestatisi tra alcuni dei residenti (fatto, questo, che monopolizzerà l'attenzione durante l'intera serata, tra battute e scene di panico al minimo contatto tra due qualsiasi persone o cose)! Ad ogni buon conto, incaricati di portare rifornimenti alimentari, scelgo, per stupire tutti con un colpo di originalità, di affiancare alle banane e alle classiche tavolette di cioccolato fondente, il tutto per la cronaca rimasto intonso, un po' di litchi e di physalis alkekengi, frutti esotici dal sicuro effetto scenico e, in particolare i secondi, dalla conclamata bontà, soprattutto in abbinamento con la cioccolata fusa. Inutile dire che mi sono sfondato di frutta di ogni genere generosamente intinta nella sublime crema marrone. E per finire, dessert del dessert, due belle fette di pandoro, giusto per pulire ben bene il tegame dall'ultimo strato di cioccolata!

venerdì, dicembre 08, 2006

Atroce dubbio morale

Ogni giorno, quando è ora di pranzo, mentre il mio corpo è imprigionato nella interminabile coda che ci separa dall'agognato pasto, la mia mente vaga tormentata, afflitta da un dilaniante dubbio morale, causato dal violento conflitto tra due di quelle che ritengo essere le regole fondamentali del viaggiatore. La prima impone, nei limiti imposti quantomeno dall'amor proprio, di sforzarsi di assaggiare tutte le pietanze tipiche del luogo, con spirito aperto ed animo da esploratore. La seconda, per contro, vieta categoricamente di assumere qualsivoglia piatto italiano, evidentemente incapace di reggere il confronto con il rispettivo orginale. Cos'è dunque che si colloca sulla sottile linea di confine delle due categorie, al punto di provocarmi tanto sconforto? Ebbene, si tratta di quella che gli indigeni chiamano PIZZA (anzi, pizzà), e che provoca puntualmente la coda più lunga di tutte al bancone al quale è servita, benché in effetti non sembri avere nulla a che vedere con l'omonima prelibatezza nostrana! Che fare dunque? Snobbarla sdegnosamente in attesa di poter calmare in tempi migliori l'acquolina che si produce solo leggendone il nome, o considerarla un piatto tipico locale e intrufolarsi per una volta, tra l'incuriosito e lo schifato, camuffandosi nel tentativo di non farsi riconoscere da nessuno, tra la folla in attesa di ricevere una bella "pizza bolognaise"?

Mi raccomando, pensateci bene! La mia decisione dipenderà dall'esito di questo sondaggio. Non astenetevi dal votare!

martedì, dicembre 05, 2006

Huîtres e dolcetti

Uscito dal cinema, comincio beatamente a passeggiare per le vie chic di Nantes, già adeguatamente addobbate a festa. Fatti nemmeno duecento metri, vengo attratto irresistibilmente dalla vetrina di dolciumi di una boulangerie, nella quale sono in bella mostra una sfilza di torte e dolcetti di vario genere. Una volta entrato, è inevitabile che la scelta ricada sul più tamugno: un bel pavé au chocolat che richiede il suo buon quarto d'ora per essere mangiato tutto. In questo frangente, mi reco al mercatino natalizio di Nantes, allegro, colorato e straripante di oggetti e di alimenti di ogni genere: vorrei mangiare tutto, e ciononostante sono costretto anche a rinunciare a un assaggio di prosciuttino corso a causa del non troppo indicato abbinamento con la cioccolata! Roba da pazzi!
Quando ormai si è fatta ora di cena, sempre sull'onda della massima enunciata nel post precedente, mi metto alla ricerca di un luogo in cui rifocillarmi. La scelta cade su un ristorantino il cui menù fisso comprende un bell'antipasto di mare crudo (gamberetti, lumaconi di mare, detti bulots, e ostriche, accompagnate da limone, pane e burro), un piatto principale consistente in coquilles saint jaques con porcini e patate e, per finire, un abbondante semifreddo al pistacchio, che se me ne portava un'altra porzione mi mangiavo pure quella senza fare complimenti! E per concludere a tarda ora cotanto pomeriggio cinegastronomico, non c'è niente di meglio che una salutare pedalata fino a casa.

sabato, dicembre 02, 2006

Little Miss Sunshine

Dopo pranzo, ritorno all'atelier del velone dove il giorno prima avevo lasciato la bici, con una gomma a terra (rattoppata), in attesa del nuovo pneumatico. Un po' di lavoro in compagnia del simpatico Lionel e, già che ci siamo, una bella revisione, necessaria dopo chissà quanto tempo evidentemente passato in cantina. Giusto il tempo di tornare a casa a posare lo zaino, che sono già in marcia verso il centro. Forte della riflessione che è meglio fare le cose in compagnia che farle da soli, ma è anche meglio farle da soli piuttosto che non farle per niente, sono finalmente determinato ad andare al cinema a vedere Little Miss Sunshine, dopo settimane di rinvii in attesa dell'occasione buona per trovare almeno un sodale. Essendo in ritardo, tento la scorciatoia alla cieca per le sconosciute strade di Nantes. Naturalmente ciò peggiora le cose, ma tutto sommato quando entro in sala lo spettacolo non è cominciato che da una manciata di minuti. Che dire, davvero eccellente! Un film sgangherato, a tratti esilarante e a tratti commovente, perfino nella medesima scena. Privo di ogni retorica, mostra ciascun personaggio nella sua luce, senza cercare ad ogni costo di proporre una morale o un finale edificante che metta tutti d'accordo. Alla fine il viaggio, come il film, è stato un sogno, una breve parentesi nella nostra vita, che forse ci ha cambiati ma forse no. Abbiamo pianto, abbiamo litigato, ci siamo fatti delle grasse risate. Cala il sipario, si accendono le luci, si torna alla vita di sempre, con un sorriso che non se ne va e qualche ricordo in più.