venerdì, novembre 24, 2006

Ubuntu!

Dopo tanti anni di titubanze, finalmente martedì sera è arrivato il momento tanto atteso: rotti gli indugi, incrociate le dita, fatti quanti più backup possibili, ho inserito il cd di Ubuntu, ho riavviato il computer, e ho cliccato sulla fatidica icona “installa”. Dopo essere stato a un passo dal cancellare per sbaglio l'intero hard disk con il programma di partizionamento, ecco che in pochi minuti (il tempo di piegare qualche camicia lavata una settimana fa e ancora appallottolata in un angolo della stanza) il mio primo Linux era installato! Windows, per contro, non l'ha presa molto bene, e, evidentemente geloso, ha smesso di avviarsi per qualche tempo, anche se in breve ha ritrovato la ragione e, di sua altrettanto spontanea iniziativa, ha ripreso a funzionare. L'unico problema è che Linux, più ancora di Windows, è un sistema operativo letteralmente morto in caso di assenza di una connessione a internet diretta: così come è praticamente impossibile installare qualsiasi programma se il computer non è connesso a internet, non è parimenti possibile configurare la connessione a internet wi-fi se il computer è scollegato. La contraddizione è tale che, poiché difficilmente troverò qualcuno che mi presti una connessione adsl ed un modem ethernet, dovrò presumibilmente aspettare di tornare in Italia per rendere pienamente operativo il caro Ubuntu! In ogni caso, un piccolo passo per un uomo, ma un grande passo per l'umanità!

giovedì, novembre 23, 2006

Clisson


Siamo d'accordo, domenica mattina, di alzarci di buon'ora per fare una gita in bici avente come meta un paese nei dintorni di Nantes. L'unica incognita, però, è legata al tempo: le previsioni prevedono pioggia o comunque cielo coperto (bello sforzo, ci si becca sei giorni su sette), e nessuno sarebbe disposto a partire in caso di brutto tempo. Poiché alla sera di sabato ancora non si è deciso il da farsi, metto per ogni evenienza la sveglia alle otto, benché convinto che le possibilità che si parta siano veramente basse. Guardo fuori dalla finestra, il tempo sembra non promettere nulla di male, ma nessuno si fa sentire per darmi la conferma. Metto la sveglia di lì a mezz'ora, ma ancora una volta il sole che inizia a stagliarsi nel cielo non è accompagnato da alcuna reazione del mio telefono. Stessa scena alle nove, al che decido che può bastare, e che posso mettermi definitivamente a dormire. Di lì a cinque minuti, quando non ho ancora fatto in tempo a riaddormentarmi, dei pesanti colpi alla porta accompagnati dal grido “svegliati, comunista”, mi fanno riconoscere il reazionario Offagnese e mi inducono a scattare in piedi. Dunque, si parte. Il tempo di preparare i panini con la mortadella (aaaaah, mortadella!!) acquistata il giorno prima, e sono già in strada. Nel frattempo, il sole è già piuttosto alto nel cielo, e la totale assenza di nuvole fa sperare per il meglio, benché il tempo, da queste parti, sia solito cambiare radicalmente in lassi di tempo sorprendentemente ridotti. Radunato tutto il gruppo e noleggiate le bici per chi ne è sprovvisto, partiamo dunque alla volta del singolare paesino di Clisson, a una trentina di chilometri a sud di Nantes, reso, all'inizio dell'ottocento, per opera di uno scultore e di un architetto francesi, un esempio di architettura e paesaggio all'italiana calati in un contesto medievale: al classico castello, fanno da contorno una serie di ville e di tempietti, non di rado di gusto un po' kitsch, benché tutto sommato piuttosto in armonia con il territorio. Il viaggio è interminabile tra gente che cade dalla bici o rimane indietro per fare delle foto: a ogni cinque o dieci minuti di pedalata, a ritmo tutt'altro che sostenuto, segue una pausa per aspettare chi se la prende con tutta calma. Arrivati in loco, ci gettiamo subito affamati sulle vivande, dopodiché, sempre condotti dalla nostra “guida” franco-svizzera-costaricense, che conosce già il posto, facciamo, bici alla mano, una bella passeggiata del lungo fiume, del castello e del centro del paesino, con tanto di vin chaud e di gateau aux pommes della nonna al mercatino delle pulci domenicale. Il ritorno, appena più spedito dell'andata, è caratterizzato da una simpatica pausa-merenda in mezzo a una stradina secondaria di campagna, in cui tutti hanno altruisticamente condiviso ciò che avevano da mangiare e da bere (io ovviamente niente, essendomi strafogato a pranzo l'intera baguette che mi ero portato), seguita da un ultimo tratto di strada praticamente al buio pesto, cercando di rimanere il più compatti possibile per non perdersi e soprattutto per non farsi stirare. Giunti infine alla Bourgeonniere, esausti, alle otto passate, non si può non chiudere la giornata con la solita maxi-spaghettata ad opera di noi italiani, che, per la cronaca, è venuta veramente cattiva da fare schifo, ma è molto piaciuta a tutti, specie ai francesi.

Poca gloria

Venerdì sera, dopo le lezioni, ha luogo il primo torneo di Pes 6. Il clima, nella sala tv di una delle residenze destinate agli studenti del primo anno dell'Ecole, è un po' da club di secchioni fissati, cose che in effetti, almeno la seconda, una buona fetta dei partecipanti è. Dopo un'oretta trascorsa nell'attesa dei ritardatari, che si presentavano alla spicciolata portando chi un televisore e chi una playstation, e nella composizione del tabellone (quattro gironi di cui passavano le prime due e le terze spareggiavano tra loro, dopodiché eliminazione diretta a partire dagli ottavi di finale), finalmente si scende in campo per il match d'esordio, ed è subito derby: il mio Arsenal ha a che fare con il Chelsea di un ciccione tontolone. Ciononostante, l'impatto con la nuova versione del gioco, ancora tutta da scoprire, è duro: il primo tempo si conclude 2-0 per il tontolone con due gol orrendi, e un Arsenal in crescendo nel finale. Nel secondo tempo è un assedio dei Gunners che accorciano all'ottantesimo ma si vedono negare il meritato pari da un miracolo di Cech nei minuti di recupero su un tiro a botta sicura da pochi passi di Henry. Poca fortuna ma segnali confortanti, tutto sommato. Dopo il primo match, giocato su pc, come poi tutti i seguenti, ha luogo il secondo, su una playstation inspiegabilmente lentissima. Contro l'Arsenal questa volta c'è uno sbruffone che, evidentemente sovrastimandosi, sceglie l'Olympiakos Pireo. Ma fa male i suoi conti, perché dopo pochi minuti un'incornata di Ljungberg su calcio d'angolo incanala il match in favore degli occasionalmente gialli londinesi. La partita, priva di emozioni e caratterizzata fin dall'inizio da una serie di fallacci assassini del mio avversario sanzionati solo con dei rari cartellini gialli, concede ben poco allo spettacolo e finisce così. Il terzo match è un Arsenal – Barcellona del quale non c'è granché da dire, se non che la squadra rivale deve essersi evidentemente dimenticata di scendere in campo: risultato finale 6-0 (se non ho perso il conto) con gol di Henry e Adebayor, entrambi in forma strepitosa. L'ultimo incontro, a qualificazione già ottenuta, è ancora contro il Chelsea. Si vede presto che i blues, benché passati inopinatamente in vantaggio alla prima azione con quello che sarà il loro unico tiro della partita, sono ben poca cosa. I Gunners si rovesciano nella metacampo avversaria trascinati da Rosicky, e tutto ciò che rimane dopo il loro passaggio è un inequivocabile 4-1 finale. Sull'onda dell'entusiasmo, mi appresto ad affrontare la vincente di uno degli spareggi, che a causa di un tabellone alquanto astruso finisce con l'essere quello che avevo battuto 6-0 nel girone. La partita non offre particolari spunti contro un Real Madrid che fa vedere ben poco, e con un netto 3-0 mi qualifico per i quarti. Ora viene il difficile. Ad attendermi c'è il temibile Remy, e più temibile di lui la sua Inter con un Adriano, si scoprirà più tardi, con la freccina rossa (per i neofiti: talmente in forma che fa gol anche se lasci il joystick e non premi nessun tasto). L'Arsenal non riesce a trovare spazi, cerca di manovrare ma non è facile tenere il controllo del pallone; dopo non molto, grave errore in difesa con Adriano che intercetta un passaggio e apre le marcature scaricando una sabongia urlante da oltre il vertice dell'area, la palla che addirittura rimbalza sul fondo della reta e schizza fuori per quanto era potente il tiro. La squadra incassa il colpo e cerca di rialzarsi, ma prima che finisca il tempo, nonostante qualche azione offensiva dall'esito sfortunato, è ancora Adriano, immarcabile, che tira da casa sua mettendo a segno il 2-0. Nel secondo tempo i Gunners tentano il tutto per tutto ma l'Inter si chiude bene rendendosi pericolosa in contropiede. In uno di questi un cross dalla destra arriva al solito Adriano che, dopo aver ciccato il colpo di testa, vince di potenza un contrasto e, tutto solo, chiude la partita. Arsenal eliminato, dunque, e che torna a casa con le pive nel sacco, sperando di potersi rifare al prossimo torneo.

martedì, novembre 14, 2006

Est ce-que vous avez des questions? (Ou des remarques?)

Meglio nota come "esché vusavé de chestion? (ù de remarc?)", è la formula tipica che, generalmente seguita da un "bon, on s'arrête là", segna la fine di ogni lezione. Spesso e volentieri tale frase viene ostentatamente scandita e pronunciata in maniera esclamativa, ESCHE'-VUSAVE'-DE-CHESTION!, proprio a sottolineare come si tratti più di una formula rituale che non di un vero invito: quale impavido oserebbe infatti sfidare le ire della folla facendo una domanda alle 12.05, subito prima della pausa pranzo, quando l'intera classe si sta già lanciando verso il ristorante universitario per risparmiarsi qualche pallosissimo minuto di fila (più che fila, "ressa informe senza esclusione di colpi" rende meglio l'idea), o alle 17.35, dopo otto ore di lezione, quando tutti hanno già indossato la sciarpa e la cuffia e non vedono l'ora di tornarsene a casa (o, per coloro la cui casa è la Bourgeonniere, alla sala internet)? Esché vusavé de chestion? Bon, on s'arrête là!

lunedì, novembre 13, 2006

DS

Ore 8, DS di METCO. Tradotto, c'est à dire che abbiamo avuto il nostro primo esame scritto (Metodologie de Conception, di cosa tratti devo ancora capirlo), più simile se vogliamo a un compito in classe che a un esame universitario. In effetti, pur senza aver mai sostenuto degli esami (leggi: senza aver studiato una bella favona), abbiamo già superato con successo tre o quattro corsi, il tutto semplicemente collaborando, si fa per dire, con dei francesi a qualche lavoro di gruppo, o tutt'al più facendo una ricerchina da scuola media su Google (con molte foto, che si fa bella figura e occupano un sacco di spazio). Volendo solamente ricevere la borsa di studio potremmo già ritenerci abbondantemente a posto e dedicarci assiduamente al turismo! In ogni caso, torniamo a noi. Non avendo ovviamente studiato alcunché fino a due giorni prima (cioè, sabato ho cominciato a farmi un'idea di cosa avrei dovuto studiare a partire da domenica pomeriggio), la serata di domenica ha visto una task force italo-brasiliana finalizzata a chiarire i dubbi più sostanziali (thanks to Brono, l'unico a non avere esami l'indomani, che ha cucinato una chilata di spaghi al pesce per tutti), seguita da una non-stop di studio in solitaria terminata verso le 4.45 del mattino. Dopo due succulente ore di sonno, eccomi dunque fresco come una rosa e carico come una molla (si può immaginare), pronto alla battaglia. Tralasciando il compito in sé, non particolarmente memorabile, è stato interessante notare l'atteggiamente dei francesi: INCREDIBILE! NON CI PENSANO NEMMENO A COPIARE! Mentre io e il Teba abbiamo ovviamente condiviso quante più informazioni possibili, come per un istinto compulsivo, tutti 'sti transalpini, non necessariamente per eccesso di erudizione quanto piuttosto, parrebbe, per una propensione culturale, se ne sono stati buoni e zitti al loro posto, senza che nessuno facesse una sola domanda al professore neanche circa le parti meno chiare, quando in Italia, davanti allo stesso compito, ci sarebbe stato un buon cinquanta percento dei presenti che avrebbe alla fine costretto il professore a fare quantomeno una comunicazione generale chiarificatrice, tra sconforto ostentato e svenimenti collettivi! Insomma, polleggio!

Fabrizio Quadrato, Oliviero Selvaggio e Geronimo Friabile

Quando uno dice che questi francesi sono quantomeno strani, non è che dice così per dire! Ma ci si può chiamare in maniere così assurde? I latini dicevano nomen omen, quantomeno questi sono nomi scemi! Non è mica una questione di traduzione, questi si chiamano così sul serio! Roba da rimanare allibiti. A uno che si chiama Geronimo Friabile, per dire, cosa gli vuoi fare? Puoi solamente stringergli la mano e dirgli: "Ti stimo".

lunedì, novembre 06, 2006

...e miceti allucinogeni!


Sabato mattina, gastroenterite o no, si parte, comunque in condizioni fisiche nettamente migliorate, alla volta di Paris! Ma scesi nel cortile della Bourgeonniere, uno spettacolo fiabesco ci accoglie. Il prato è infatti disseminato di un tappeto di coloratissime amanite muscarie, la cui sopravvivenza così duratura può essere attribuita solamente all'ignoranza degli abitanti della cité circa le sue mirabolanti doti. Sentendoci già trasportati nel mondo degli ippopotami rosa con il tutù, vorremmo raccoglierle tutte per poi quantomeno rivenderle a qualche decina di euro al grammo, ma alla fine non ce la sentiamo di turbare un così bel fenomeno naturale, e ci limitiamo a fotografare dettagliatamente questi eleganti miceti che avevamo finora visto soltanto nei cartoni animati e nei coffee shop di Amsterdam.

Saccaromiceti...

Me ne torno a casa esausto un bel lunedì sera di due settimane fa, mi metto a letto, e il termometro mi segna strafottente 39,3. Mi metto a dormire, riponendo abbondante fiducia nei miei anticorpi (una bella dormita e passa tutto), ma dopo una notte tormentata (sorvolo, per non turbare il lettore, sull'imponente quantità di squaraus prodotta nell'occasione), mi risveglio con la temperatura pressoché invariata. Appurato che una lunga serie di imprecazioni non è utile alla guarigione, almeno in tempi brevi, mi metto pazientemente ad aspettare che la febbre cali (nel frattempo continuo con le imprecazioni, vedi mai che servano a qualcosa). Nel tardo pomeriggio di martedì, quando mi sembra che la giornata sia durata una sessantina di ore, mi risolvo a chiamare il medico, il quale mi dà appuntamento per l'indomani mattina. In serata, il messicano Miguel si offre gentilmente (non c'è stato in realtà modo di impedirglielo) di prepararmi la cena: brodo di pollo e due bei cordon bleu che contribuiscono a farmi trascorrere una nottata da far rimpiangere la prima (e chi vuol capire capisca). Mercoledì il sapiente dottorone mi informa che ho una bella gastroenterite virale. Cura: aspettare che passi, imbottendosi accessoriamente di imodium e di tachipirina. Più tardi, l'arrivo della dolce Elena dona al malato un po' di sollievo. Il giorno seguente, la farmacista mi consiglia di assumere due volte al giorno delle compresse di saccaromiceti, che, oltre a rivelarsi in seguito di dubbia efficacia (per la serie: figuriamoci se non li prendevo) non aiutano a variare un pasto regolarmente composto da riso in bianco, carote, patate lesse e, per le occasioni speciali, un bel petto di pollo.