martedì, settembre 30, 2008

Italiano, terrone che amo

La vita da emigrato, si sa, è sempre dura. Separarsi dalle proprie abitudini nei diversi ambiti della vita quotidiana, dalle più radicate alle più superflue, costa fatica e può causare stress, malumore e spaesamento. Per questo è sempre consigliabile garantirsi una certa dose di certezze, sulle quali poter contare e nelle quali potersi rifugiare quando tutto intorno a sé sembra distante ed ostile.
Inevitabilmente, nel mio caso, la scelta è caduta sul campo alimentare. Pur tenendo alta la bandiera del gastronautismo, più che mai a suo agio in un paese nel quale alla sostanziale assenza di una cucina locale fa da contraltare un'offerta gastronomica praticamente onnicomprensiva, la mia spesa al mercato si rivela degna del più tradizionale esemplare italiota, con tanto di canottiera sudata e catenina d'oro al collo. Non mancano dunque nella mia credenza: olio De Cecco, pasta e sugo Divella, Grana Padano (in assenza del Parmigiano Reggiano, non me ne vogliano i puristi), acciughe di Cefalù e gli indimenticabili crackers Doriano, quelli che mi fanno sentire ancora al piano nobile del Minghetti durante l'intervallo. L'apoteosi qualche giorno fa, quando, entrando nel negozio di formaggi, mi cade l'occhio, dentro al frigo, su di una forma che mi appare subito familiare. Mi avvicino, e non posso non distinguere a chiare lettere la scritta piave impressa sulla crosta. Il Piave, quel formaggio veneto che a Bologna non lo trovi e lo devi andare a comprare apposta ad Alleghe. Gli occhi umidi, chiedo di tagliarmene una fetta. Me ne fa assaggiare un po', lo metto in bocca commosso mentre il commesso mi chiede: "così va bene?". Facciamo un po' di più, gli dico, trattenendo le lacrime. A posto così? Sì grazie, quant'è. Tredici dollari. Non ce la faccio più, e piango. Ma è stato bellissimo.

martedì, settembre 09, 2008

In effetti alla sera non so proprio cosa fare

Sabato, sveglia a mezzogiorno e pomeriggio sperperato malamente davanti al computer tra skype e i soliti quattro siti in croce. Di tanto in tanto mi viene in mente qualcosa di utile da controllare, così a un certo punto finisco sulla pagina del mio armonicista preferito, pensando che magari, in otto mesi, almeno una volta gli capiterà di suonare da queste parti, o a me di capitare dalle sue (dopo che con sommo rammarico mi ero perso la sua esibizione a Rovigo di un anno fa [bastardi nessuno c'è voluto venire!]). Controllo la lista dei concerti, ce ne sono giusto una dozzina di cui la metà in Nuova Zelanda. Il primo, però, è in Ontario. Guardo la data: è stasera. Cerco il posto: 20 minuti di metropolitana dal centro. Piango per l'emozione.
Sulle prime rimango spiazzato, avevo accettato l'invito ad un party etilico alle nove al quale intedevo far infiltrare una comitiva di tedeschi, e ad un afterhour jazz dall'una in poi. Decido infine di sbattermene, corro in stazione, prendo il treno e giungo nella sperduta località in cui ha luogo il festival blues. Assisto al concerto immerso in una platea costituita esclusivamente da migliaia di umarells, ciascuno dei quali si era portato da casa la sedia pieghevole e un bel giubbino (anzi, giubino), perché si sa che alla sera fa freschino, specie in riva al lago. Il mitico Charlie sembra un ragazzino, suono pulito e voce che si scalda canzone dopo canzone. Faccio ritorno a Toronto downtown giusto in tempo per trovarmi all'appuntamento al baretto jazz abusivo, dove incontro i tedeschi entusiasti della festa alla quale si erano sportivamente presentati come miei amici tra lo stupore dei presenti. Il posto si va via via riempiendo di note e di gente assurda, finché verso le quattro, quando ormai non si riesce più a muovere un passo e tantomeno ad ascoltare la musica, decido di fare ritorno a casa. Una bella camminata di mezz'ora, due procioni che mi guardano da un albero di fronte casa. Che storia.

giovedì, settembre 04, 2008

Paese che vai, usanze che trovi

Finalmente spensierato e libero di sputtanarsi le giornate come più gli aggrada, il vostro antropologo preferito ha deciso di calarsi nella cultura nordamericana trascorrendo una serata all'insegna delle più veraci tradizioni indigene. Il programma, con inizio nel tardo pomeriggio, era così concepito. Cena in un ristorante tipico, Kentucky Fried Chicken. Siccome ci tengo a non sembrare un turista schizzinoso che non si fida della gastronomia del posto, mi faccio dare il panino più ripieno possibile con supplemento di tutte le salse che mi vengono offerte, compreso un barattolo da 100 ml di uno strano sugo marrone al sapore di pollo dentro al quale, per non sbagliare, inzuppo tutto quello che mi capita a tiro, esclusa la Pepsi. Seppure stordito dall'acidità di stomaco mi lancio di corsa all'appuntamento con i colleghi internazionali, giungendovi con quindici minuti di ritardo, ovvero appena in tempo per aspettarne altri cinque prima di vederli arrivare serafici annunciando di aver tardato per cenare. Si prende posto nei nosebleeds e si apprezza il panorama della CN Tower che sovrasta l'arena. Dopo gli undici interminabili inning necessari a decretare un vincitore, la considerazione principale che emerge è sostanzialmente una: il baseball non è uno sport. Si tratta in realtà di una trovata di marketing diabolicamente congegnata dai produttori di patatine e bevande gassate, non esiste alcun'altra spiegazione. Per dare un'idea delle sensazioni suscitate dallo spettacolo utilizzando un paragone accessibile, si immagini di assistere ad una sfida ai calci di rigore della durata di oltre tre ore e mezza, resa più varia da jingle sparati a tutto volume tra un tiro e l'altro e da regole spesso apparentemente prive di ogni logica. Inevitabile di conseguenza il ricorso compulsivo ad attività quali il saluto isterico al maxischermo e il consumo di grassi saturi di varia origine, alle quali la partita sembra limitarsi a fare stancamente da contorno. Meritevole, a onor del vero, il momento in cui il tetto semovente dello Skydome si è chiuso sopra le nostre teste tra scenografiche rotazioni e scorrimenti di carrelli e lamiere. Ed infine, sulla solitaria strada di casa, non poteva mancare una sosta per chiudere in maniera coerente l'esperimento culturale, rifornendosi di una bella ciambella glassata al cioccolato. (avviso ai parenti: le abitudini alimentari descritte sono state enfatizzate e sono da ritenersi comunque non rappresentative della normale dieta dell'autore)

martedì, settembre 02, 2008

La mia vita su Craigslist

Dopo una pausa estiva più lunga del solito riapre i battenti Ciavemoimoscioli nell'accattivante versione canadese (in tutto e per tutto identica a quelle nantese e bolognese, salvo per l'ambientazione più esotica delle stronzate in esso contenute).
La vita delle ultime due settimane, per quanto ricca di avvenimenti curiosi ed eccitanti bastanti per riempire pagine e pagine di cronaca (e di cui invece, ahinoi, non rimarrà nessuna testimonianza ai posteri) ha ruotato sostanzialmente intorno alla necessità di scacciare la sempre più inquietante prospettiva di una vita senza fissa dimora alla mercé del tanto paventato benché non ancora incombente inverno torontiano. Vale pertanto la pena di illustrare il funzionamento del mercato immobiliare nell'area urbana di Toronto, il quale ha dettato i ritmi delle mie recenti giornate con implacabile severità. Ecco dunque a voi la

Guida essenziale per l'aspirante possessore di un posto letto a Toronto downtown

1) Craigslist non è un sito di annunci. E' una chat.
2) Inviare e-mail non sarà perciò di alcuna utilità. Sessanta secondi per inviare il messaggio con copia e incolla sono troppi anche se leggi l'annuncio in tempo reale. Per allora la camera sarà già stata affittata.
3) E' necessario pertanto disporre di un telefono, in quanto non esiste di fatto nessun modo alternativo per procurarsi un appuntamento.
4) Essere di madrelingua inglese potrebbe non essere sufficiente per sostenere una conversazione telefonica con un padrone di casa coreano o indiano.
5) Il centro di Toronto richiede circa due ore per essere attraversato a piedi, il che favorisce l'abbinamento della ricerca di una casa con un programma di preparazione atletica agonistico.
6) Ora che finalmente stai visitando una camera, non illuderti. Qualcuno l'ha già vista prima di te.
7) Se nessuno l'ha ancora vista, gli altri coinquilini sceglieranno comunque qualcun altro al tuo posto, anche se è arrivato dopo.
8) Le uniche opportunità disponibili si presenteranno a due a due. Ciò farà sì che tu le perda entrambe.
9) Mentre prendi confidenza con i punti dall'uno all'otto, ci si renderà conto che gli ostelli sono completamente prenotati di lì a due settimane, e che alberghi a meno di 150$ a notte non se ne trovano.
10) Dopo aver versato sangue, sudore e lacrime sei finalmente riuscito in qualche modo a trovare un alloggio. Complimenti! Ora non ti resta che vagare per le stradine residenziali raccogliendo articoli di arredamento in disuso messi a disposizione dei passanti dai precedenti proprietari. Avvertenza: per i divani a due piazze, se si è sprovvisti di un mezzo di trasporto sufficientemente capiente o quantomeno di un sodale abbastanza robusto, è consigliabile rifornisi esclusivamente nel raggio di poche decine di metri dalla propria abitazione. Abitare in un seminterrato renderà inoltre più facile il trasporto del divano medesimo al piano di competenza.