Me ne torno a casa esausto un bel lunedì sera di due settimane fa, mi metto a letto, e il termometro mi segna strafottente 39,3. Mi metto a dormire, riponendo abbondante fiducia nei miei anticorpi (una bella dormita e passa tutto), ma dopo una notte tormentata (sorvolo, per non turbare il lettore, sull'imponente quantità di squaraus prodotta nell'occasione), mi risveglio con la temperatura pressoché invariata. Appurato che una lunga serie di imprecazioni non è utile alla guarigione, almeno in tempi brevi, mi metto pazientemente ad aspettare che la febbre cali (nel frattempo continuo con le imprecazioni, vedi mai che servano a qualcosa). Nel tardo pomeriggio di martedì, quando mi sembra che la giornata sia durata una sessantina di ore, mi risolvo a chiamare il medico, il quale mi dà appuntamento per l'indomani mattina. In serata, il messicano Miguel si offre gentilmente (non c'è stato in realtà modo di impedirglielo) di prepararmi la cena: brodo di pollo e due bei cordon bleu che contribuiscono a farmi trascorrere una nottata da far rimpiangere la prima (e chi vuol capire capisca). Mercoledì il sapiente dottorone mi informa che ho una bella gastroenterite virale. Cura: aspettare che passi, imbottendosi accessoriamente di imodium e di tachipirina. Più tardi, l'arrivo della dolce Elena dona al malato un po' di sollievo. Il giorno seguente, la farmacista mi consiglia di assumere due volte al giorno delle compresse di saccaromiceti, che, oltre a rivelarsi in seguito di dubbia efficacia (per la serie: figuriamoci se non li prendevo) non aiutano a variare un pasto regolarmente composto da riso in bianco, carote, patate lesse e, per le occasioni speciali, un bel petto di pollo.
1 commento:
Dai, amore, a Paris ti sei un pò rifatto: niente più riso e patate, ma canard e zuppa di cipolle! Altro che miceti... ^_^
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